Logopedia

“Aiuto....ma solo mio figlio parla e non si capisce nulla??? Ha quasi 3 anni e non si capisce nulla di quello che dice, neanche mamma e papà!”

“Giovanni ha 2 anni e mezzo e io mi sento dire che ` colpa mia se non parla.....sono una mamma incompetente perché lui non parla ancora!!”

“Il bambino ha ormai due anni e non parla per niente....ma davvero bisogna preoccuparsi? Quali sono i campanelli d'allarme?“

"Mio figlio è in seconda elementare ma ancora legge a fatica e quando scrive fa tanti errori.....”

La prerogativa fondamentale dell'essere umano è quella di poter comunicare con le parole. L'uso della parola gli permette di esprimere non solo i bisogni primari ma anche opinioni, pensieri, emozioni e sentimenti.
La Logopedia si occupa sia della prevenzione che della riabilitazione della comunicazione e del linguaggio in età evolutiva, adulta e senile.
"Il logopedista ha il compito di rieducare tali turbe al fine di portare il soggetto il più vicino possibile alla normalità, utilizzando le metodiche e gli accorgimenti più adatti per ciascun caso... (A. De Filippis Cippone).


campanella
POSSIBILI CAMPANELLI D'ALLARME
3 anni poche parole
5 anni difetti di pronuncia
inversione suoni o sillabe
frasi brevi o mal costruite
6 anni difficoltà nell'avviare la letto-scrittura
8 anni legge a fatica e non comprende ciò che legge

L'approccio del logopedista avviene durante il primo colloquio tra tale figura, il bambino e la sua famiglia. Comprese, mediante una buona raccolta anamnestica, quali siano le motivazioni che spingono la famiglia a rivolgersi al logopedista, inizia il percorso valutativo vero e proprio mediante valutazione testale e inquadramento di equipe.

schema logopedia;

Il Logopedista partecipa al progetto di cura della persona mirando allo "sviluppo di una persona al suo più alto potenziale sotto il profilo fisico, psicologico, sociale, occupazionale ed educativo, in relazione al suo deficit fisiologico o anatomico e all'ambiente", secondo la definizione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Il Codice Deontologico del Logopedista all'art. 4 stabilisce che "[...] finalità dell'intervento logopedico è il perseguimento della salute della persona, affinché possa impiegare qualunque mezzo comunicativo a sua disposizione in condizioni fisiologiche. Nel caso di un disturbo di linguaggio e/o di comunicazione e/o loro eventuali esiti, l'obiettivo sarà il superamento del disagio ad esso conseguente, mediante il recupero della abilitò e delle competenze finalizzate alla comunicazione o mediante l'acquisizione e il consolidamento di metodiche alternative utili alla comunicazione e all'inserimento sociale." Pertanto, il logopedista, in quest'ottica, deve necessariamente maturare competenze professionali e partecipare a un team multidisciplinare (pediatra, neuropsichiatra infantile, otorinolaringoiatra, audiologo, terapista nella neuro-psicomotricità dell'età evolutiva) per definire il disturbo presentato dal bambino e progettare un corretto ed efficace intervento riabilitativo. Inoltre, è fondamentale coinvolgere la scuola nel progetto riabilitativo, poiché la triade logopedista-famiglia-scuola deve interagire in modo sinergico per ottimizzare al massimo le potenzialità del bambino con difficoltà di comunicazione o di apprendimento.

La logopedia in età evolutiva si rivolge a bambini che presentano difficoltà in ambito: - neurologico (ritardi di sviluppo del linguaggio, disturbo specifico del linguaggio (DSL), disturbi di linguaggio secondari a ritardo mentale, sindromi genetiche e/o malformative, deficit sensoriale (ipoacusia) e paralisi cerebrale infantile, disturbi specifici e aspecifici dell'apprendimento, disturbi dell'attenzione, disturbo della comunicazione sociale (pragmatica) e disturbo dello sviluppo della coordinazione (DCD); - neurocomportamentali (disfunzioni causate da traumi cranici, eventi patologici cerebrali, disturbo dello spettro autistico); - della voce, di competenza otorinolaringoiatrica e foniatrica (disfonia, balbuzie); - delle funzioni orali (deglutizione deviata).
LE CINQUE W del LOGOPEDISTA
CHI (WHO) bambini, fin dai primi mesi di vita all'età adulta a seconda del quadro clinico
COSA (WHAT) progetto di prevenzione e riabilitazione difficoltà della comunicazione, del linguaggio e dell'apprendimento strutturato in incontri individuali
QUANDO (WHEN) avvio, frequenza e durata dell'intervento dipendono dal quadro clinico
PERCHE' (WHY) intervenire sulle proprie difficoltà al fine di colmarle o migliorarle e ottimizzare i propri punti di forza e le abilità future
  • Ritardo del linguaggio...
  • Deficit sensoriale
  • Dsa e dintorni
  • Disturbo della comunicazione sociale (pragmatica)
  • Deglutizione deviata
[...I bambini imparano a comunicare in tempi straordinariamente rapidi, prima con lo sguardo, le azioni, i gesti e poi progressivamente, si appropriano di uno strumento ben più complesso e sofisticato che è il linguaggio, o meglio la lingua parlata nell'ambiente che li circonda...] (V. Volterra). L'Autrice continua sottolineando come i genitori pongano tanta attenzione e investano molte aspettative a questo aspetto della crescita dei propri figli.
A volte capita, però, che non tutto proceda secondo i piani.
Quante volte mamme e papà raccontano: “mio figlio non riesce a pronunciare alcune letterine...”, “mio figlio non parla molto...”, “il mio bambino gioca poco con i suoi compagni di scuola perché non lo capiscono molto bene...” e così via.
Queste situazioni proiettano i genitori in una condizione di dubbio e di preoccupazione. Quale l'atteggiamento corretto? Intervenire subito? Attendere? Nessuno ha la soluzione perfetta, soprattutto quando si tratta di linguaggio e di bambini piccoli.
I “sacri testi” spiegano che lo sviluppo del linguaggio è un fenomeno che dipende dalla continua interazione di più fattori, intrinseci ed estrinseci, caratterizzato da variabilità interindividuale a sua volta legata a condizioni individuali e sociali. In tale complessità (perché il linguaggio è veramente un affare complicato, e ciò che noi sentiamo, in termini di suoni, parole e frasi, è solo la punta dell'iceberg di ciò che accade realmente) dobbiamo comunque tenere presente che esistono alcuni punti fermi grazie ai quali possiamo definire se, come e quando intervenire.
È importante tenere presente che i primi tre anni sono i più importanti, quelli durante i quali il bambino cambia fisicamente, matura cognitivamente e costruisce le basi del linguaggio.
Se si osserva che il bambino manifesta ritardi nella comparsa effettiva del linguaggio e/o incontra difficoltà nella corretta produzione di suoni e/o le frasi prodotte appaiono poco o mal strutturate, allora è bene chiedere consiglio ad uno specialista che aiuti a dipanare questa matassa.
È utile sapere che non è facile individuare una relazione causa-effetto precisa (i famosi “sacri testi”, di cui sopra, non si sono ancora sbilanciati in merito all'individuazione di una relazione precisa tra difficoltà di linguaggio e relativa genesi); tuttavia un percorso di indagine può aiutare a capire a che tipo di ritardo di linguaggio ci troviamo davanti: ritardo evolutivo semplice o disturbo specifico di linguaggio.
Nel primo caso ci ritroviamo davanti a un bambino che, oltre alle fatiche nell'esprimersi, globalmente appare immaturo rispetto ai propri coetanei, ma, caratteristica fondamentale, la comprensione del contesto e del linguaggio sono adeguate. In questo caso se la segnalazione viene fatta precocemente e l'entità della difficoltà non presenta soglie allarmanti, non sempre è necessario intervenire con un percorso terapeutico strutturato, a volte basta effettuare un intervento a livello ambientale fornendo consigli alla famiglia e agli operatori scolastici e attraverso un programma di monitoraggio, ripristinare il corretto percorso di maturazione del bambino.
In altri casi, invece, ci troviamo davanti a bambini che manifestano una vera e propria alterazione del linguaggio, anche la comprensione appare coinvolta e la coesistenza di altri fattori, quali la familiarità (per difficoltà di linguaggio e/o scolastiche) o problematiche di crescita e /o salute (nascita prematura, problemi alla nascita, otiti ricorrenti che impediscono una corretta percezione dei suoni) portano al sospetto di un disturbo specifico del linguaggio. In questo caso la buona prassi, una volta effettuata la diagnosi, richiede una presa in carico volta a far recuperare le tappe linguistiche e creare dei compensi funzionali laddove il gap non permette un recupero completo.
Gli specialisti per delineare il quadro in maniera precisa e accurata seguono un preciso percorso durante il quale instaurano un dialogo con famiglie ed educatori scolastici (utile a raccogliere dati sulla salute e a comprendere la situazione ambientale) e si avvalgono dell'uso strumenti diagnostico/testali standardizzati. Entrambe permettono di ottenere una visione completa e oggettiva e delle sue necessità di crescita e quindi di strutturare un progetto ad hoc per il piccolo.
Il linguaggio verbale è una funzione complessa che si sviluppa grazie all'interazione di numerosi sistemi. La condizione imprescindibile perché questa funzione si attivi e si strutturi risiede nel funzionamento del canale uditivo. È il "bagno sonoro" che rende possibile l'innesco dei meccanismi neurocognitivi che conducono all'esordio linguistico.
Può accadere, purtroppo, che questo canale sensoriale non sia in grado di espletare il proprio compito. Ma, come lavorano le nostre orecchie? A grandi linee possiamo dire che si occupano di captare le onde sonore, trasformarle in impulso elettrico ed inviare il segnale ai centri uditivi, che risiedono nel sistema nervoso, il quale, poi, avrà il compito di elaborarlo in informazione.
Capita, però, che salti la sinergia di questi passaggi e che il segnale uditivo non riesca ad essere adeguatamente recepito. Il mal o il non funzionamento può coinvolgere una o più stazioni dell'apparato uditivo a seconda anche della natura eziopatogenetica del disturbo. La conseguenza è che il soggetto manifesta una forma di ipoacusia o sordità. L'ipoacusia si può classificare in base al meccanismo malfunzionante: trasmissiva (sono coinvolte le strutture periferiche che trasmettono meccanicamente l'onda sonora verso la zona interna dell'orecchio), percettiva (risulta inefficiente la trasduzione del segnale, cioè la trasformazione da segnale meccanico a segnale elettrico) e ipoacusia mista, quando riunisce le precedenti. Un'ulteriore classificazione viene fatta in base alla gravità del quadro e per definire ciò ci si riferisce ai parametri fisici che aiutano a comprendere la tipologia dei suoni coinvolti e l'intensità necessaria perché il soggetto possa udirli.
Altra categorizzazione dell'ipoacusia è legata all'età di insorgenza: pre-verbale, peri-verbale e postverbale a seconda che si manifesti prima, durante o dopo l'avvento del linguaggio.
Diversi sono i segnali che fanno sospettare la presenza di un quadro di ipoacusia, segnali di natura verbale e comportamentale. Sono i genitori i primi a raccogliere questi dati. È fondamentale osservare che tipo di reattività manifestano i bambini rispetto agli stimoli sonori, se sono in grado di riconoscere i diversi tipi di suoni e di voci, la presenza e la ricchezza della vocalizzazione e come evolve il linguaggio. Appare evidente che riconoscere tempestivamente la presenza di questa difficoltà permetta di intervenire in tempi rapidi e contenere gli effetti che tale condizione esercita sul linguaggio nello specifico, ma anche sulla crescita del soggetto e sulla sua identificazione nel contesto sociale. La presa in carico deve, quindi, accompagnare il bambino nella crescita e individuare le strategie adeguate perché possa realizzarsi sfruttando a pieno le proprie potenzialità. In considerazione della complessità del quadro, la coordinazione e la cooperazione tra le varie figure specialiste risultano la condizione ottimale per arrivare a definire in modo preciso il quadro stesso e ad identificare gli obiettivi di intervento.
Il primo passaggio risiede nel ripristinare o attivare la percezione uditiva (scelta che dipende dalla natura dell'ipoacusia), condizione che consente di attivare e/o guidare la crescita linguistica nel rispetto delle tappe fisiologiche di sviluppo. Unitamente è fondamentale monitorare e sostenere la coppia genitoriale: l'impatto di una diagnosi di sordità ha effetti importanti sull'equilibrio della famiglia. Come sempre, appare indispensabile coinvolgere nel lavoro in team anche tutte le altre figure educative che ruotano intorno al bambino perché è fondamentale che le richieste siano ben calibrate, ma soprattutto, coerenti tra di loro negli intenti e nelle modalità. L'esito del percorso è legato a numerosi fattori: soggettivi e contestuali, tuttavia si deve agire con atteggiamento fiducioso in modo da poter sfruttare tutte le risorse a disposizione e concretizzare le potenzialità di ogni individuo.
La pragmatica è una delle componenti della comunicazione e si occupa di come le interazioni verbali e non esercitano la loro influenza sul comportamento dei soggetti coinvolti. A nessuno verrebbe in mente di aprire l'ombrello dato che “sono piovute proteste”, così come non si chiederebbe un consulto medico perché “ho il cuore in gola” ! Sulla componente pragmatica, poi, si basa tutta la nostra capacità di comprendere l'ironia: “pigra cerca lavoro che la venga a cercare”...
Si tratta, dunque, dell'abilità di utilizzare e comprendere il linguaggio e la comunicazione (verbale e non verbale) considerando il contesto, le intenzioni e i bisogni degli interlocutori. La pragmatica si occupa del perché la lingua venga utilizzata e in che misura soddisfi esigenze e finalità comunicative. Si occupa di come il contesto influisca sull'interpretazione dei significati.
I bambini che presentano difficoltà nell'uso sociale della comunicazione verbale e non verbale manifestano:
  • una difficoltà nell'uso della comunicazione per scopi sociali (salutarsi, scambiarsi informazioni con modalità appropriate al contesto sociale),
  • una compromissione della capacità di modificare la comunicazione al fine di renderla adeguata al contesto o alle esigenze di chi ascolta (parlo diversamente se sono in un'aula scolastica o in un parco giochi, se parlo con un altro bambino o un adulto),
  • difficoltà nel seguire le regole della conversazione e della narrazione (rispettare i turni in una conversazione, riformulare una frase se male interpretata, utilizzare i segnali verbali e non verbali per regolare la relazione),
  • difficoltà nel capire ciò che non viene dichiarato esplicitamente e i significati non letterali o ambigui del linguaggio (frasi umoristiche, metafore, significati molteplici la cui interpretazione dipende dal contesto).
Queste difficoltà causano limitazioni funzionali dell'efficacia della comunicazione, della partecipazione sociale, delle relazioni sociali, del rendimento scolastico o delle prestazioni professionali, individualmente o in combinazione.
Si può cominciare ad ipotizzare un disturbo della comunicazione sociale dai 4-5 anni ma le forme lievi possono non essere evidenti prima dell'adolescenza.
“Il dentista mi ha detto che devo andare dal logopedista perché metto la lingua tra i denti...”

La deglutizione è l'atto che permette di convogliare il cibo dalla bocca alle aree digestive. Si modifica nel tempo a causa della crescita delle strutture anatomiche e al variare degli stimoli alimentari. Talvolta, però, la mancata coordinazione o il perdurare di vecchi schemi di deglutizione fanno si che si instauri una forma di deglutizione deviata. È un disturbo (che rientra nel quadro degli squilibri miofunzionali orofacciali) caratterizzato dalla persistenza di schemi motori inadeguati, spesso legati al perdurare oltre il limite fisiologico di una deglutizione di tipo infantile.
Il passaggio dal tipo di deglutizione infantile a quello adulto avviene gradualmente a partire dai 12-15 mesi con la comparsa dei denti da latte ed il progressivo passaggio dai cibi liquidi a quelli solidi.
Questa evoluzione può però essere ostacolata da alcuni fattori come l'uso prolungato di ciuccio o biberon, il succhiare il dito o la lingua, la respirazione orale causata da problemi respiratori, da onicofagia (mangiarsi le unghie) o da malformazioni.
Si deglutisce circa 1.800 volte al giorno, se non lo si fa in modo corretto la continua pressione esercitata dalla lingua sui denti e, in generale sulle strutture orali, può causare svariati disturbi.

A seconda della specifica situazione, le figure sanitarie coinvolte nel ripristino delle corrette funzioni orali possono essere molteplici, tra le quali il foniatra, l'odontoiatra e il logopedista che collaborano tra loro.
La terapia miofunzionale (TMF) permette di riequilibrare la muscolatura oro-facciale e rieducare la funzione linguale scorretta alla base della deglutizione disfunzionale. La deglutizione deviata si presenta con alterazione della funzione linguale e conseguente attività di compenso della muscolatura orofacciale. Può essere correlata con la presenza di palato alto, respirazione orale, difficoltà nella pronuncia dei foni /s/ e /ts/, malocclusioni, problemi visivi e ortodontici e difficoltà nella postura. Può, altresì dare luogo all'instaurarsi di alterazioni a carico dell'apparato otorinolaringoiatrico con ipertrofie dei tessuti adeno-tonsillari, otiti catarrali, sinusiti, acufeni, vertigini. Può anche influenzare l'apparato visivo: lo squilibrio muscolare può interessare i muscoli della motilità oculare con comparsa di forie ed alcune forme di strabismo. La ristrettezza della cavità orbitarie, conseguente al restringimento del palato, può essere alla base di affaticamento oculare, cefalee e alcune forme di miopie.
Gli obiettivi principali della TMF sono il trattamento dei disturbi del sistema stomatognatico (anomalien orofacciali, modello respiratorio, incompetenza delle labbra, spinta della lingua, deviazioni mandibolare e schemi articolatori impropri durante la parole), della masticazione e della deglutizione, assistenza nella correzione di abitudini orali parafunzionali (succhiamento del pollice, bruxismo).
La TMF consiste in un trattamento terapeutico volto all'eliminazione delle abitudini viziate, al ripristino di una corretta respirazione, al riequibrio della muscolatura oro-facciale ed alla rieducazione della deglutizione. Per il raggiungimento di un equilibrio delle funzioni del complesso oro-facciale sono fondamentali la motivazione del bambino e il sostegno e la collaborazione dei familiari che hanno l'importante compito di far reiterare a casa gli esercizi presentati nel corso delle sedute logopediche.
La riabilitazione della deglutizione deviante prevede un periodo intensivo, la cui durata dipende dal grado di collaborazione del paziente e della famiglia, e un successivo periodo di mantenimento, che permette al logopedista di monitorare la stabilizzazione e l'automatizzazione del corretto atto deglutitorio e l'eventuale correzione di procedure motorie errate. La durata della terapia può variare in base alla gravità della disfunzione, alla motivazione e alla collaborazione del soggetto.
La TMF è rivolta ai bambini, adolescenti e adulti. Solitamente, essendo importante la collaborazione, la terapia miofunzionale è indicata dai 7-8 anni di età, ma già dai 3-4 anni si può iniziare ad intervenire sulla deglutizione deviata eliminando le abitudini orali viziate e proponendo al bambino esercizi appropriati.
Sebbene intervenendo in giovane età si possano ottenere migliori risultati dovuti alla malleabilità delle strutture ossee, anche gli adulti possono trovarne giovamento e risolvere i propri problemi legati alla deglutizione deviata.